Come uscire dallo stallo senza una Grande Riforma

Alla data del 15 maggio 2018, trascorsi 71 giorni dal voto, il Governo non si è ancora formato. Evidentemente, è la conseguenza di un Parlamento in cui nessun partito – e nessuna delle coalizioni che si sono presentate alle elezioni – ha la maggioranza assoluta dei seggi. I sostenitori della legge elettorale maggioritaria (e anche quelli della forma di governo presidenziale, nella quale il capo del Governo è direttamente eletto dai cittadini) ne approfittano per rafforzare la loro tesi. Non hanno tutti i torti, se si escludono i nostalgici del 4 dicembre, convinti che una vittoria del “sì” al referendum sulla riforma del Senato avrebbe consentito una maggioranza assoluta in Parlamento e dunque la nascita del Governo: naturalmente, tutto questo è falso, dal momento che il referendum non riguardava la legge elettorale.

Si è spiegato qui quali sono i vantaggi della legge proporzionale: l’unica che consente di rappresentare in Parlamento tutte le idee e gli interessi esistenti in una società, rispettando non solo l’effettiva volontà popolare, ma anche la realtà, che non può essere governata se non tenendo conto di tutti i suoi aspetti, mentre il maggioritario la falsa, inventando un Parlamento una maggioranza che non esiste nel Paese.
Se la maggioranza di governo si deve formare in Parlamento – e non sulla base di coalizioni create prima del voto – la democrazia non è tradita: anzi, si rafforza, perché in Parlamento sono presenti i partiti, che sono associazioni di cittadini, e dunque consentono ai cittadini di stabilire l’orientamento del governo in ogni momento della legislatura, non soltanto nel giorno delle elezioni.

Tuttavia, a favore del maggioritario resta un’obiezione solidissima. Che si fa se, in un Parlamento senza maggioranza, non si riesce a trovare un accordo per votare la fiducia al governo, sapendo che – per chi crede nell’autorità dello Stato – un Paese non può fare a meno di un governo che opera nel pieno dei suoi poteri?
La legge proporzionale costringe alle mediazioni. Questo è inevitabile, ed è anche sano. Tuttavia, trovare un accordo su un singolo tema o sulla fiducia al Governo non è la stessa cosa. La mozione di fiducia corrisponde a un accordo sul programma di governo, per il quale non è sufficiente la buona volontà: serve una visione comune della società e della persona umana; una visione comune che, in determinati momenti storici, può anche non esistere, o – almeno – non in numero sufficiente per formare una maggioranza parlamentare.
Si può facilmente replicare che “la politica è l’arte del compromesso e della mediazione”, un’idea condivisibile in teoria, ma che – come molte buone idee – deve confrontarsi con la realtà. E non sempre il realismo coincide con i compromessi, anche se da militanti abbiamo appreso una lezioncina ossessiva che recita il contrario.
È inutile osservare che i partiti non possono essere obbligati a governare insieme contro la loro volontà. Personalmente, per quanto una parte della sinistra rimpianga quei tempi, non ho alcuna simpatia per l’ordinamento totalitario della Germania orientale, nel quale tutti i partiti (democristiani, liberali, nazionalisti) erano coinvolti in una Grande Coalizione di governo, dominata dai comunisti della SED.
In realtà, a prescindere da questa premessa, l’assunto per cui il governo di coalizione è la conseguenza inevitabile della legge proporzionale è, almeno in parte, discutibile. In un Parlamento eletto con il proporzionale, possono anche formarsi maggioranze variabili, di volta in volta, a seconda della proposta in discussione; maggioranze diverse rispetto alla maggioranza che sostiene il Governo. Il Governo, invece, può essere legittimato da ciascuna delle due Camere anche senza il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi membri (“governo di minoranza”). Questo può avvenire se, durante la votazione sulla mozione di fiducia, una parte dei parlamentari si astiene, o esce dall’aula, così che i voti favorevoli possano superare i contrari. Ma una opportuna riforma costituzionale potrebbe consentirlo anche se questi gruppi preferissero esprimere un voto contrario.

Basta un confronto con le Costituzioni di alcuni Paesi stranieri – nei quali la legge elettorale è proporzionale – per trovare gli strumenti adatti a realizzare questo obiettivo. Il cardine di questo sistema è la “sfiducia costruttiva”: il Parlamento può votare una mozione di sfiducia al governo in carica, facendolo cadere, solo se, contemporaneamente, si accorda per individuare il nuovo capo del governo.
Una volta introdotta la sfiducia costruttiva, lo strumento più semplice per consentire a un Governo di minoranza di operare con pieni poteri sarebbe l’eliminazione della mozione di fiducia: il Presidente della Repubblica nominerebbe il governo, e questo sarebbe del tutto legittimato finché il Parlamento non lo sfiducia. Purtroppo, questo sistema limiterebbe fortemente il potere del Parlamento (dunque, dei partiti; dunque, dei cittadini) nel condizionare il governo, e aumenterebbe eccessivamente la discrezionalità del Capo dello Stato.
Una soluzione intermedia può consistere in una revisione degli articoli 92 e 94 della Costituzione, ispirandosi alla Legge fondamentale tedesca. In Germania, il capo del Governo (Cancelliere federale) è eletto, e può subire la “sfiducia costruttiva”, in una sola Camera (Bundestag); alla terza votazione è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti, anche se ha solo la maggioranza relativa (in questo caso, il Capo dello Stato può scegliere se nominarlo o sciogliere il Bundestag. In Italia, il Presidente del Consiglio potrebbe essere eletto, e sfiduciato, in Parlamento – riunito in seduta comune – con lo stesso metodo.

Non si tratta di una proposta di “banale buon senso”, sebbene sia relativamente semplice. L’attuale forma di governo parlamentare sarebbe profondamente modificata. Un Governo di minoranza (ad esempio, guidato dalla Lega) potrebbe essere costretto a dare esecuzione a una legge approvata da una maggioranza parlamentare di tutt’altro orientamento (ad esempio, una legge votata da M5S e PD, contro la Lega).
Inoltre, con questa revisione costituzionale sarebbe eliminata la fiducia parlamentare (mentre non scomparirebbe la mozione di sfiducia). La mozione di fiducia non è solo la condizione necessaria perché il Governo assuma pienamente i suoi poteri: rientra nella categoria delle mozioni, e quindi di quegli atti con cui il Parlamento può indirizzare le scelte del Governo. Non sarebbe inutile se il nuovo art. 94 consentisse espressamente alle Camere (o anche a una Camera sola) ciò che è già previsto dai regolamenti parlamentari: il potere di votare atti di indirizzo vincolanti nei confronti del Governo, rinviando agli stessi regolamenti, o alla legge, le disposizioni necessarie a garantirne l’esecuzione. Naturalmente, anche questi atti di indirizzo potrebbero essere approvati da una maggioranza di segno diverso rispetto al Governo.
D’altra parte, sostenere la legge elettorale proporzionale significa compiere una scelta di campo, nel segno del rispetto della volontà popolare. Una forza politica che non ha la maggioranza assoluta dei consensi può avere il privilegio di governare da sola, e quindi anche di presentare proposte di legge alle Camere, trasformandosi nel principale motore dell’azione parlamentare. Questo può avvenire in via eccezionale, soltanto perché si vuole evitare che lo Stato resti troppo a lungo senza un Governo legittimato dalle Camere. Ma se una legge, o un atto di indirizzo politico, ha ottenuto la maggioranza in un Parlamento eletto con il proporzionale, e quindi pienamente rappresentativo dei cittadini, sarebbe eccessivo se un Governo di minoranza non vi si adeguasse.

Riassumendo, la Costituzione potrebbe essere rivista, introducendo una nuova disciplina per la formazione del Governo. Il Presidente del Consiglio sarebbe nominato dal Presidente della Repubblica dopo essere stato eletto dal Parlamento, anche quando il candidato vincente ha ottenuto solo la maggioranza relativa dei deputati e dei senatori. Il Capo dello Stato, in questo caso, potrebbe scegliere se nominarlo o sciogliere le Camere.
Il Parlamento sfiducerebbe il Governo soltanto indicando il nome del nuovo Presidente del Consiglio, e dunque solo in presenza di una nuova maggioranza, capace di trovare un accordo a partire da un nome.
Così, il governo potrebbe sempre operare con pieni poteri e con la legittimazione del Parlamento, anche quando la legge elettorale è proporzionale, anche quando le forze politiche non riescono a formare una maggioranza. L’approvazione delle leggi richiederebbe una maggioranza equivalente alla maggioranza dei voti popolari. Ma la forza di maggioranza relativa (partito o coalizione) potrebbe governare da sola.
L’attuale situazione di stallo sarebbe evitata conservando tutti i vantaggi della legge proporzionale. Soprattutto, la Costituzione nata dalla Resistenza sarebbe rivista solo per quel tanto che basta a raggiungere questo obiettivo, e dunque sarebbe tenuta il più possibile al riparo da stravolgimenti inutili.

Nicola Dessì

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